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mercoledì 30 settembre 2015

Le auto Tesla percorreranno 1.200 km con una ricarica

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Il numero uno di Tesla, Elon Musk, nell'anticipare il lancio in grande stile della nuova autovettura elettrica Model X, previsto per questa settimana, ha fornito qualche indicazione sulla sua visione del mercato. C'è sempre maggiore competizione nel segmento dei veicoli elettrici, con la stessa Porsche che non ha nascosto di guardare nella stessa direzione.

Secondo Musk, l'attuale Model S di Tesla (la cui missione primaria è quella di portare, sul mercato di massa, vetture elettriche ad alte prestazioni) già oggi permetterebbe di percorrere quasi 800 chilometri a basse velocità dopo ogni singola ricarica. Entro il 2017, la stessa auto dovrebbe consentire di superare gli 800 chilometri all'abituale andatura.

Le auto Tesla percorreranno 1.200 km con una ricarica

Il CEO e presidente di Tesla ha poi aggiunto che entro il 2020 i vari modelli della società dovrebbero consentire di superare il traguardo dei 1.200 chilometri con una singola ricarica elettrica.

Ad ogni modo, Musk ritiene che l'autonomia dei veicoli elettrici di Tesla possa aumentare al ritmo del 5-10% l'anno.

Frattanto, Tesla presenterà domani Model X. Il modello base della nuova autovettura dovrebbe costare intorno ai 65.000 dollari (tasse ed incentivi per l'acquisto esclusi).
Le auto Tesla percorreranno 1.200 km con una ricarica


Il lavoro dei tecnici Tesla continua anche sullo sviluppo delle innovative batterie Powerwall, capaci non soltanto di consentire la ricarica veloce delle vetture elettriche ma anche di alimentare la casa o l'azienda. Le batterie Tesla possono essere infatti usate per immagazzinare l'energia generata dai pannelli solari o attingerla dalla rete elettrica nei momenti in cui la tariffazione è più conveniente: Grande interesse per la superbatteria di Tesla: cos'è.

martedì 29 settembre 2015

Svelato il mistero dei (pochi) fumatori sani

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Tutta questione di genetica: un’équipe di scienziati ha identificato una mutazione rara che protegge i polmoni dall’effetto deleterio del fumo
Smoke
(Foto: Johanna Parkin/The Image Bank/Getty Images)
Perché i polmoni di diversi fumatori incalliti sembrano godere di salute relativamente buona, nonostante i comprovati effetti deleteri del fumo? Se lo sono chiesti (e hanno trovato una risposta) gli esperti del Medical Research Council, che, come raccontano sulle pagine di Lancet Respiratory Medicine, hanno esaminato il genoma di oltre 50mila volontari, scoprendo diverse rare mutazioni favorevoli che sembrano, per l’appunto, proteggere i polmoni dagli effetti del fumo. Una scoperta, dicono gli autori, che potrà portare allo sviluppo di nuovi farmaci per il miglioramento delle funzionalità polmonari. Non dimenticando comunque di sottolineare che non fumare è sempre la scelta migliore.
I ricercatori, in particolare, hanno analizzato i dati relativi alle condizioni di salute e al genoma contenuti nel database dello Uk Biobank Project, cercando di raccogliere informazioni sullabroncopneumopatia cronica ostruttiva (Copd), una malattia del polmone che porta a difficoltà respiratorietosse e infezioni toraciche e che colpisce, come ricorda la Bbc, tre milioni di persone nel solo Regno Unito.
Incrociando i dati relativi a soggetti sani e malati e fumatori e non fumatori, gli scienziati hanno individuato delle sezioni di dna in grado di ridurre il rischio di sviluppare Copd, concludendo che “i fumatori con geni buoni hanno un rischio più basso di ammalarsi rispetto a quelli con geni cattivi.
Secondo Martin Tobin, uno dei ricercatori che ha condotto lo studio, della University of Leicester, i geni in questione influenzano il modo in cui i polmoni crescono e rispondono alle sollecitazioni interne. “Non esiste alcun tipo di protezione magica”, ha spiegato, “che garantisce l’immunità contro i rischi del fumo: i fumatori avranno sempre polmoni meno sani rispetto a quelli che avrebbero avuto se non avessero fumato. La cosa migliore che un fumatore può fare è, in ogni caso, smettere di fumare”. Anche perché il fumo aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e cancro, non considerati nello studio.

sabato 26 settembre 2015

Global XRS 7200: il camper studiato per l’Apocalisse globale

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Se la fine del mondo è una fantasia perfetta per scrittori e sceneggiatori del cinema, c’è anche chi ha pensato di realizzare una vettura che sia perfetta anche in caso queste fantasie diventassero realtà. Il Global XRS 7200 è un camper a forma di camion che dispone di un motore da720 cavalli, uno spazio interno di 23 metri quadrati e tutto il necessario per affrontare periodi difficili in totale sicurezza.
Colorato di verde militare, con un peso di 18 tonnellate e dotato di un set di ruote corazzate davvero gigantesche, questo camper sarebbe ideale anche per fare una vacanza in zone di guerra, nel caso in cui si desideri realmente raggiungere certi luoghi. Il veicolo è prodotto dallaSaalfelden am Steinernen Meer, in Austria, e costa circa 800.000 euro.
Il camper è disponibile in tra varianti, a due, tre o quattro assi per le ruote. Se pensate che questo camper sia un prodotto difficilmente vendibile, le parole di Stephan Wirths, amministratore delegato di Action Mobil, vi smentiranno: finora sono stati venduti ben 300 di questi camper corazzati, un successo commerciale da circa 250 milioni di euro.




















martedì 22 settembre 2015

Amazon guarda ai voli spaziali con Blue Origin

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Amazon come SpaceX di Elon Musk. La società di Jeff Bezos ha infatti appena confermato un investimento pari a 200 milioni di dollari per allestire, in Florida, una base di lancio per razzi spaziali. Del progetto sarà responsabile Blue Origin, azienda spaziale fondata dallo stesso Bezos.
Il centro sarà posto a pochi chilometri di distanza dal Kennedy Space Center della NASA e dovrebbe crescere rapidamente anche grazie ad una partnership siglata con la United Launch Allianceche vede tra i suoi membri nomi come Boeing e Lockheed Martin.

Il primo razzo spaziale, battezzato New Shepard, è già in fase di sviluppo e test. Stando a quanto rivelato, la United Launch Alliance potrebbe collaborare anche al miglioramento dei propulsori.

Amazon guarda ai voli spaziali con Blue Origin

In un primo tempo New Shepard sarà utilizzato per inviare scienziati e ricercatori in orbita utilizzando un sistema di lancio ed atterraggio in verticale. Successivamente, si potrebbe iniziare a parlare di "turismo spaziale".
La notizia è stata accolta con favore dal governo locale che descrive queste iniziative come molto importanti sia sul versante commerciale che sul piano dell'innovazione. Dopo la chiusura del programma Shuttle, infatti, si comincia a ripartire per i viaggi spaziali sulla base degli investimenti di società private.

Droni usati per costruire ponti, esperimento italo-elvetico

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Che i droni siano utilizzati per attività di monitoraggio ed intervento in zone difficilmente accessibili è cosa nota. Desta quindi grande interesse l'esperimento condotto, ancora una volta, da alcuni ricercatori del Politecnico federale di Zurigo (ETHZ, Autenticazione a due fattori con il riconoscimento sonoro): alcuni quadricotteri sono stati messi al lavoro con l'obiettivo di costruire autonomamente un ponte di corda.

Droni usati per costruire ponti, esperimento italo-elvetico

Come spiegano gli esperti elvetici, a parte le impalcature costruite ai lati del tratto da attraversare, il ponte - per la sua interezza - viene costruito in tutto e per tutto dai droni usando una fibra sintetica con una resistenza paragonabile a quella dell'acciaio, chiamata Dyneema, particolarmente adatta per i cavi da trazione.
Non essendo troppo pesante, la corda in Dyneema può essere agevolmente collocata dai droni che, come si vede nel video dimostrativo ripubblicato di seguito, sono riusciti a praticare nodi ed intrecci ove necessario.

Droni usati per costruire ponti, esperimento italo-elvetico

Il ponte di corda, assicurano i ricercatori del Politecnico svizzero, può quindi poi essere utilizzato da parte di qualunque persona per spostarsi da un lato all'altro.
Evidenti le possibili applicazioni pratiche: si pensi alle situazioni di emergenza in cui la costruzione di un ponte simile può aiutare a salvare vite.
Importante evidenziare che le ricerche sono state condotte dagli italiani Federico Augugliaro, esperto di robotica, ed il professor Raffaello D'Andrea.

Maggiori informazioni sono pubblicate sul sito dell'ETHZ, in questa pagina.

martedì 15 settembre 2015

Nasce la bici senza raggi che si piega e si mette nello zaino

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Startup incubata dal Politecnico di Torino, l'ideatore è un ingegnere di 31 anni. Realizzata in alluminio, peserà meno di dieci chili e sarà in commercio a fine anno

È italiana la prima bicicletta senza raggi che si ripiega in uno zaino. E’ realizzata in alluminio e, quando sarà in commercio, entro fine 2015, peserà sotto i dieci chili. L’invenzione è di Gianluca Sada, ingegnere trentunenne che ha realizzato il primo prototipo di bicicletta che passa dalle dimensioni di un comune ombrello a quelle di una normale bici da strada con ruote da ben 26 pollici. L'invenzione di Sada conferma la propensione degli inventori italiani per le due ruote: sia nel campo dei motori elettrici - con il motore che si applica ai pedali e quelle alimentate dalmotore della lavatrice - che in quello della sicurezza dove sono stati creati l'allarme collegato allo smartphone, il cavo di ricarica che si trasforma in lucchetto, e il lucchetto integrato nel telaio. Il meccanismo di Sada semplice e veloce in pochi secondi permette di inforcare la bici o riporla in uno zaino di dimensioni comuni. Le ruote, grazie a un particolare design brevettato, non necessitano dei raggi, riducendo ulteriormente l'ingombro e mantenendo al contempo un diametro di tutto rispetto che permette di coprire agevolmente anche lunghe distanze. Grazie alla collaborazione con le Fonderie e Officine Meccaniche Tonno e con l'Incubatore Imprese innovative del Politecnico di Torino, la Sadabike è oggi una start-up innovativa. 
























La storia
Non è certo la prima, ma per ora è la più innovativa tra le bici super-trasportabili. La storia delle pieghevoli risale addirittura al 1878, quando il britannico William Grout decise ripensare il mezzo di spostamento per renderlo compatibile con il trasporto a mano. Da allora è passato più di un secolo di piccoli cambiamenti, ma nulla di veramente rivoluzionario: il ripiegamento era sempre più o meno macchinoso e la guida impacciata dalle dimensioni del mezzo. Il trade-off tra l'usabilità e la trasportabilità è rimasto un problema fino a pochissimo tempo fa, quando un giovane ingegnere di Battipaglia trapiantato per gli studi a Torino si è messo in testa di fare onore a Leonardo da Vinci. «L'idea è nata guardando un bimbo che giocava con uno di quei giocattoli che non si usano più: un vecchio balocco costituito da una semplicissima rotella spinta da un'asta. La ruota non aveva i raggi, da lì ho pensato che la chiave per risolvere il vincolo tra portabilità e usabilità fosse rivoluzionare il cerchione». 

Lo sviluppo
Affascinato dall'intuizione donatagli dal gioco del bimbo, Gianluca ha iniziato a buttare giù schizzi quasi per gioco; gli studi di ingegneria dell'autoveicolo hanno apportato poi più sostanza, fino al primo scoglio, convincere il suo relatore a supportare una tesi di laurea su un progetto che non coinvolgesse un automobile, ma "solo" una bicicletta. «All'inizio era un po' scettico, poi riconoscendo la sostanza dell'idea e la cura nello sviluppo mi ha appoggiato in pieno». Come funziona I copertoni sono supportati da un paio di cerchioni speciali, che permettono di eliminare i raggi. «Nelle bici tradizionali i raggi funzionano solo in trazione, quindi la bici è sostanzialmente 'appesa' alla metà superiore delle ruote. Io ho pensato semplicemente di spostare il fulcro, cambiando la sezione del cerchione con una forma particolare". Il telaio ha una forma a forbice che gli dona un tocco futuristico e che permette agli ingranaggi di richiudere la bici in pochi secondi. I riconoscimenti I primi riconoscimenti arrivano quando l’ordine degli ingegneri di Torino gli assegna il primo posto per il premio “IDEA-TO” come “migliore tesi di laurea a carattere innovativo». E Gianluca viene annoverato nei migliori 200 talenti d’Italia.
30 marzo 2015

sabato 12 settembre 2015

Come funziona il cemento che elimina l’inquinamento

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La storia e le caratteristiche di i.active Biodynamic, il nuovo materiale lanciato oggi sul mercato che, attraverso la fotocatalisi, ripulisce l’aria delle città
(foto: Fabio Toschi)
(foto: Fabio Toschi)
Ogni mille metri quadrati di superficie realizzata con questo materiale, equivalgono a togliere dalla circolazione 30 automobili. Questo vuol dire che, se una città come Milano lo usasse per rifare il 15% delle sue facciate, ridurrebbe l’inquinamento nell’aria della metà. Cosa fattibile, in via teorica, ma al prezzo di 1.100 euro alla tonnellata: per il momento, una cifra più da nicchia di mercato che non da edilizia popolare. Il lancio sul mercato di i.active Biodynamic, la malta cementifera sviluppata da Italcementi con cui è stato realizzato il Palazzo Italia di Expo 2015, ha permesso di capire meglio come funziona e che cosa si potrebbe fare con un nuovo materiale che finora aveva avuto una ribalta mediatica legata quasi solo al suo impiego all’interno dell’esposizione universale. Soprattutto, c’è stato modo di approfondirne gli aspetti tecnici, sfatando anche qualche semplificazione poco corretta.
Sbagliatissimo, per esempio, dire che “mangia lo smog“, visto che la fotocatalisi – questo il nome del processo – avviene sulla superficie del cemento.
Il principio attivo Tx Active consente al materiale di innescare con la luce del sole dei forti processi di ossidazione, in grado di trasformare alcuni inquinanti in sali inerti del tutto simili a quelli che possiamo trovare in un’acqua minerale. La bassissima porosità del materiale e la sua idrorepellenza fanno quindi sì che basti un po’ di pioggia per lavare via il tutto. L’aspetto interessante di questo meccanismo, se vogliamo, è che a farlo funzionare sono anche le caratteristiche sviluppate per ottenere un buon impatto estetico (la sua liscezza in particolare) e quelle che pensate per renderlo più attrattivo per i costruttori (il fatto che si lava da solo, riducendo le spese di pulitura).
(foto: Fabio Toschi)
(foto: Fabio Toschi)
Un risultato che, chiaramente, è frutto di studio. Per essere precisi, alla nascita di i.active Biodynamic hanno lavorato 15 ricercatori per un totale di 12.500 ore nel centro i.Lab all’interno del Parco scientifico e tecnologico Kilometro rosso, con la collaborazione dell’Università di Napoli e di quella di Firenze nella fase di sperimentazione, arrivando a registrare per il prodotto cinque brevetti internazionali. “La prima sfida è stata quella della fluidità – spiega Enrico Borgarello, a capo del settore ricerca -, che permette al materiale di essere iniettato in casseri (gli stampi dove il cemento prende forma ndr.) molto complessi. Un’altra caratteristica importante è la lavorabilità per tempi lunghi. Mentre dal punto di vista dell’effetto estetico è fondamentale la porosità superficiale, molto bassa per un materiale cementizio”. Motivo per cui, alla vista e al tatto, il biodinamico appare molto diverso in termini di liscezza e lucentezza rispetto a un cemento tradizionale. Al momento, l’impressione è quindi quella di un “cemento d’artista“, utile soprattutto a produrre coperture elaborate, estetiche e complesse. Perché sia stato pensato così lo spiega Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italcementi: “Come ha detto Renzo Piano, il futuro dell’architettura è nel recupero delle aree urbane. Per questo servono materiali sempre più sofisticati da dare in mano a progettisti sempre più capaci”.
Una filosofia che ha anche ragioni bilancio: l’azienda investe ogni anno 13 milioni di euro in ricerca e sviluppo, a fronte di una quota fatturato annuale generato dalla sua capacità innovativa pari a270 milioni di euro. La buona notizia, tornando al discorso iniziale, è che la sostenibilità rappresenta uno dei temi centrali di questa corsa all’innovazione. Lo stesso i.active Biodynamic è fatto all’80% da materiale riciclato proveniente dagli scarti di lavorazione del marmo di Carrara ed è, a sua volta, totalmente riciclabile a fine vita. In conferenza, Pesenti ha spiegato che è eccessivo parlare di “Prada o Ferrari del cemento“, ma che si accontenterebbe di togliere l’accezione negativa al termine “cementificare“. Per ora si parte da archistar e dintorni, il tempo dirà quanto la curva di adozione di questa innovazione potrà essere ampia.